Dire che Baldassarre Turco dedica alla letteratura le ore più lunghe ed intense della quotidianità, è dir poco. Lui, infatti, da tempo, da molto tempo, vive a tu per tu con la poesia, la narrativa e la saggistica; e lo sta facendo con convinzione, con metodicità, con l’entusiasmo di chi è giovane dentro e di chi guarda al dopo con fiducia, nel segno di una speranza di luce che significa fede nella vita, nei rapporti sociali, nell’Aldilà. Ci piace, pertanto, entrare a gradi nel suo io creativo, nel corpus pulsante della sua poesia e del suo saper scavare nel profondo di una verità, di un sogno, di un panorama mentale e della natura. Ecco, perciò, che lo abbiamo sollecitato a rispondere ad alcune domande nella certezza che da ogni sua risposta possa uscire quell’insieme di note che costituiscono ormai il pentagramma, umano e culturale, del suo essere protagonista, almeno in parte, dell’attuale stagione letteraria di casa nostra.
Cosa l’ha spinta a scrivere, a mettersi in discussione, a cercare nella poesia e nella prosa i perché del suo io e del vivere?
“Non saprei dire che cosa mi abbia spinto a scrivere, anche perché scrivo dalla prima adolescenza. Già all’età di 12-13 anni, in collegio presso i Padri Francescani, dove ero stato messo a studiare, ho iniziato a comporre poesie per occasioni di onomastici di Superiori o ricorrenze varie (feste religiose, recite, arrivi e partenze di personalità...) o per il giornalino del collegio. Comunque ho sempre sentito come un’attrazione per il foglio bianco (a volte anche un pezzetto di carta qualsiasi) al quale confidare i miei sentimenti e i miei pensieri. Dato che ero piuttosto ‘introverso’, penso che ciò abbia influito a prediligere lo scritto alla comunicazione diretta”.
C’è un poeta, italiano o straniero, che considera in qualche modo un suo maestro?
“Pascoli e, in seguito, Ungaretti. Il primo perché l’ho sempre sentito vicino per la sua storia umana. Anche a me, come a lui, è venuta meno ben presto la gioia del nido familiare, essendomi morti a tre anni la mamma e a nove il papà. Il secondo per il comune credo religioso. Una silloge l’ho addirittura intitolata con alcuni suoi versi: “Si sconta / vivendo”.
La fede ha un ruolo importante nel suo percorso scritturale, soprattutto poetico. Perché?
“La fede ha senz’altro un ruolo importante nel mio percorso poetico, perché ne ha tanto nella mia vita. Nella fede ho trovato conforto alla mia esistenza umanamente ‘poco felice’. La fede mi ha aiutato a superare alcune crisi esistenziali e poiché, come ho già avuto modo di dire, per inclinazione naturale preferisco confidare allo scritto tutti o quasi i miei sentimenti e pensieri, i temi della fede sono tra le tematiche del mio scrivere e poetare”.
La famiglia, la sua origine siciliana, in quale modo hanno influito sul suo essere, o diventare, poeta e scrittore?
“Credo che più che la famiglia o la mia origine siciliana si possa dire che sia stata la mancanza di una famiglia e la lontananza dalla mia terra nativa ad influire sul mio essere poeta. I lamenti e il dolore per essere stato privato del primo nucleo familiare (e poi in seguito incomprensibilmente anche della mia prima giovane compagna) come pure i temi della nostalgia sono gran parte della mia ispirazione artistica”.
Cosa pensa in concreto dell’attuale momento sociale?
“Purtroppo sono molto rattristato per la china che ha preso l’umanità, avviata verso un nichilismo spirituale, avendo l’uomo dichiarato la morte di Dio, si è avuto il non senso dei valori tradizionali quali la fede, la morale, la bontà, la fratellanza, la solidarietà...”.
E della realtà letteraria italiana?
“Come sempre, credo sia difficile dare un giudizio sulla propria contemporaneità. Il buon Manzoni diceva: “Ai posteri l’ardua sentenza”. Comunque non mi piace la faciloneria di tanta poesia che, se è vero che vuol dire creazione, dovrebbe richiedere più ricerca, più impegno, più travaglio. Personalmente sono sempre stato e lo sono ancora alla ricerca di qualcosa che mi appaghi e forse è per questo che ho cercato di esprimermi in vari modi con versi sciolti, haiku, rondò, sonetti e credo che ancora non abbia trovato...”.
C’è chi afferma che la poesia è esclusivamente un fatto culturale di èlite. E’ d’accordo, e perché?
“No, la poesia non deve essere assolutamente un fatto di elite; ma ciò non vuol dire che si debba trascendere a forme di poesia-non poesia, soltanto perché torna utile a promotori di premi letterari o di raccolte antologiche, dove, a pagamento, viene accettato tutto, anche ricette di menù culinari e fogli per la spesa... E non dico ciò tanto per dire: potrei documentarlo. Ma sarebbe un offendere una rivista alla quale sono legato per altri suoi aspetti positivi”.
Marco Delpino ha scritto che lei vive con intensità la sua passione letteraria e lo fa “con la malinconia che è propria dei cantori, ma anche con quel sentimento di speranza che rappresenta la molla del nostro quotidiano esistere”. Condivide, e per quali motivi, tale opinione?
“Credo che Marco Delpino sia uno dei critici che più a profondo e meglio di altri abbia capito la mia poetica. Per la verità, non essendo io assolutamente difficile ma anzi trasparente al massimo, debbo affermare che sono stati in tanti ad entrare con facilità nel mio piccolo mondo di scrittore, saggista e poeta. Fra i tanti cito Pacifico Topa, Pasquale Francischetti, Enza Conti, Rolando Tani, Gina Noto Termini, Giorgio Ugolotti... Condivido in pieno quanto Marco Delpino ha scritto su di me proprio per i motivi che mi sembra che poc’anzi ho espresso della mia vita, del mio credere, del mio esprimermi in versi e in prosa”.
Cosa rappresenta per lei il sole?
“Il sole per me rappresenta la luminosità, la vita e soprattutto l’elemento primario più bello e affascinante della mia infanzia ed adolescenza, che però come tutte le cose da me amate non mi è stato possibile tenere, perciò è rimasto nella mia mente come qualcosa di cui un giorno potermi ancora riappropriare. Non lo so quanto vi giochi il mio inconscio, quando preferisco dichiarare d’essere nato non in Sicilia, ma nella ‘terra del Sole”.
Qual è l’interrogativo che le si presenta con maggiore insistenza sulla tavolozza della quotidianità e al quale non è riuscito ancora, almeno in parte, a dare una risposta?
“Forse esistono più interrogativi che mi si presentano con una certa insistenza sulla tavolozza della quotidianità. Aggiungerei ‘umanamente’ parlando, come tutti gli uomini che pensano anch’io sono afflitto e tormentato da un’infinità di ‘perché’. Perché la disuguaglianza? Perché l’ingiustizia? Perché la guerra? Perché l’apparente trionfo dei malvagi?... E sicuramente non è facile la risposta se non si accetta quella della fede. Per cui ringrazio d’avere la Fede (scritta maiuscola)”.
L’immagine e la presenza della Madonna sono una costante in molti dei suoi scritti. Ma cosa la fa sentire così in sintonia con la “Donna del Paradiso” ?
“Il vuoto della scomparsa a tre anni della mamma terrena è stata riempita dalla presenza della Madonna, da me facilmente accettata in quella tenera età, nella quale si ha come un bisogno psichico forse più forte di quello fisico di una donna che si possa dire ‘Mamma’. Aggiungo che per me non era ‘Donna del Paradiso’, ma molto vicina, perché me la ritrovavo quotidianamente accanto non solo in Chiesa, ma in varie edicole, quadri e immagini e soprattutto sulla bocca di quanti mi circondavano, persone appunto piene di fede e di amore verso la Madre di Gesù e di tutti gli uomini”.
C’è un premio, fra i tanti che ha collezionato, che l’ha gratificata più degli altri?
“Tra i premi conseguiti, non c’è uno che mi abbia gratificato più degli altri. Direi che di volta in volta sono rimasto contento di vedermi riconoscere da diversa giuria qualificata una delle liriche nelle quali io ho espresso le mie tematiche fondamentali: la nostalgia, l’amore, la fede, l’impegno dell’onestà, l’affetto verso i genitori, la speranza di un mondo migliore, la bellezza delle cose naturali quali il sole e i fiori...”.
Vivere la poesia, oggi come oggi, ha un significato, visto che si è portati più all’usa e getta, al tutto e subito, all’avere prima dell’essere?
“Ecco, per me vivere la poesia, in un mondo in cui ci sono sempre meno certezze, rimane un valore che può ancora aiutare a salvarci, purché essa sia portatrice di messaggi atti alla promozione dell’uomo, all’arricchimento della sua vita culturale e spirituale. E’ proprio vero che in un mondo, dove tutto finisce, il poeta (e quindi la poesia), come diceva il buon Orazio, non muore mai del tutto. Ne sono testimonianza Omero e Virgilio”.
Perché dice “io spesso / ho tanta / paura / del vuoto”; forse perché “per le mie strade / l’ortica cresce folta con le spine: / ed io non so se andare avanti o indietro”?
“Ho paura del vuoto, nel senso che ‘dove cresce l’ortica con le spine’, cioè nella società attuale troviamo un mondo dove sono spariti quei valori tradizionali, ai quali la nostra fede, la nostra cultura, in altre parole la nostra civiltà millenaria ci aveva educati e assicurati... Ora tutto vacilla! In tal senso ‘non so se andare avanti o indietro’ significa che nella nostra società temo un regresso verso i secoli bui della barbarie...”.
Cosa rappresentano per lei l’amore, l’amicizia, la solidarietà, il dialogo?
“Per me l’amore, uno dei cardini di salvezza assieme alla poesia e alla fede, significa volersi bene; l’amicizia vuol dire non truffare nessuno, essere sinceri, leali; la solidarietà aiutare chi è più bisognoso di noi, cosa che non è fissa sempre per le stesse persone, ma alternativamente possiamo tutti essere soggetto e oggetto di solidarietà. Per esempio il popolo italiano, popolo storico di emigrati, ha usufruito della solidarietà di altri popoli ospitanti, ed oggi invece non può rifiutarsi a chi gli chiede aiuto. Il dialogo è la base fondamentale per vivere tutti da buoni figli di Dio. E’ il primo imperativo categorico dell’amore”.
Qual è il ricordo più bello dell’infanzia?
“I ricordi più belli della mia infanzia sono quelli legati al breve periodo (nove anni) nel quale c’era ancora papà, per esempio, quando tornava dalla campagna e, tutti riuniti attorno al braciere, raccontava le favole...”.
Quale potrebbe essere il suo ultimo desiderio di uomo e di poeta?
“In una mia poesia, ancora medita tra le mie carte, intitolata Desiderio, così mi esprimo: ‘Quando sarà il momento dell’addio... / vorrei addormentarmi nel Signore / con la coscienza limpida e tranquilla / di chi non ha commesso alcun errore / volutamente... / In vita mia non sono certo stato / un grande eroe... / Ma male non ne ho fatto mai a nessuno; / Quando ho potuto ho steso la mia mano, / e il cuore ho aperto ad aiutar qualcuno / più triste e bisognoso...’. Ecco, quanto ho appena detto, lo desidero come uomo e come poeta”.
Fulvio Castellani
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